Paradiso VI

Introduzione ai canti da III a X

sunto del canto

Ancora nel II Cielo di Mercurio. Giustiniano si presenta a Dante. Digressione sulla storia dell’Impero romano. Invettiva contro i Guelfi e i Ghibellini. Condizione degli spiriti operanti per la gloria terrena. Presentazione di Romeo di Villanova.
È la sera di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
Giustiniano risponde alla prima domanda di Dante, spiegando che dopo che Costantino aveva portato l’aquila imperiale (la capitale dell’Impero) a Costantinopoli erano passati più di duecento anni, durante i quali l’uccello sacro era passato di mano in mano giungendo infine nelle sue. Egli si presenta dunque come imperatore romano e dice di chiamarsi Giustiniano, colui che su ispirazione dello Spirito Santo riformò la legislazione romana. Prima di dedicarsi a tale opera egli aveva aderito all’eresia monofisita, credendo che in Cristo vi fosse solo la natura divina, ma poi papa Agapito lo aveva ricondotto alla vera fede e a quella verità che, adesso, egli legge nella mente di Dio. Non appena l’imperatore fu tornato in seno alla Chiesa, Dio gli ispirò l’alta opera legislativa e si dedicò tutto ad essa, affidando le spedizioni militari al generale Belisario che ebbe il favore del Cielo.
La risposta di Giustiniano lo obbliga ad un’aggiunta, affinché il poeta si renda conto quanto sbagliano coloro che si oppongono al simbolo sacro dell’aquila (i Guelfi) e coloro che se ne appropriano per i loro fini (i Ghibellini). Il simbolo imperiale è degno del massimo rispetto, e ciò è iniziato dal primo momento in cui Pallante morì eroicamente per assicurare la vittoria di Enea.
Giustiniano ripercorre le vicende storiche dell’aquila imperiale, da quando dimorò per trecento anni in Alba Longa fino al momento in cui Orazi e Curiazi si batterono fra loro. Seguì il ratto delle Sabine, l’oltraggio a Lucrezia che causò la cacciata dei re e le prime vittorie contro i popoli vicini a Roma; in seguito i Romani portarono l’aquila contro i Galli di Brenno, contro Pirro, contro altri popoli italici, guerre che diedero gloria a Torquato, a Quinzio Cincinnato, ai Deci e ai Fabi. L’aquila sbaragliò i Cartaginesi che passarono le Alpi al seguito di Annibale, là dove nasce il fiume Po; sotto le insegne imperiali conobbero i loro primi trionfi Scipione e Pompeo, e l’aquila parve amara al colle di Fiesole, sotto il quale nacque Dante.
Nel periodo vicino alla nascita di Cristo, l’aquila venne presa in mano da Cesare, che realizzò straordinarie imprese in Gallia lungo i fiumi Varo, Reno, Isère, Loira, Senna, Rodano. Cesare passò poi il Rubicone e iniziò la guerra civile con Pompeo, portandosi prima in Spagna, poi a Durazzo, vincendo infine la battaglia di Farsàlo e costringendo Pompeo a riparare in Egitto. Dopo una breve deviazione nella Troade, sconfisse Tolomeo in Egitto e Iuba, re della Mauritania, per poi tornare in Occidente dove erano gli ultimi pompeiani. Il suo successore Augusto sconfisse Bruto e Cassio, poi fece guerra a Modena e Perugia, infine sconfisse Cleopatra che si uccise facendosi mordere da un serpente. Augusto portò l’aquila fino al Mar Rosso, garantendo a Roma la pace e facendo addirittura chiudere per sempre il tempio di Giano. Ma tutto ciò che l’aquila aveva fatto fino ad allora diventa poca cosa se si guarda al terzo imperatore (Tiberio), poiché la giustizia divina gli concesse di compiere la vendetta del peccato originale, con la crocifissione di Cristo. Successivamente con Tito punì la stessa vendetta, con la conquista di Gerusalemme; poi, quando la Chiesa di Roma fu minacciata dai Longobardi, fu soccorsa da Carlo Magno.
Terminata la sua digressione, Giustiniano invita Dante a giudicare l’operato di Guelfi e Ghibellini che è causa dei mali del mondo: i primi si oppongono al simbolo imperiale dell’aquila appoggiandosi ai gigli d’oro della casa di Francia, i secondi se ne appropriano per i loro fini politici, per cui è arduo stabilire chi dei due sbagli di più. I Ghibellini dovrebbero fare i loro maneggi sotto un altro simbolo, poiché essi lo separano dalla giustizia; Carlo II d’Angiò, d’altronde, non creda di poterlo abbattere coi suoi Guelfi, dal momento che l’aquila coi suoi artigli ha scuoiato leoni più feroci di lui. I figli spesso pagano le colpe dei padri e Dio non cambierà certo il simbolo dell’aquila con quello dei gigli della monarchia francese.
Giustiniano risponde alla seconda domanda di Dante e spiega che il Cielo di Mercurio ospita gli spiriti che in vita hanno perseguito onore e fama, per cui quando i desideri sono rivolti alla gloria terrena è inevitabile che si ricerchi in minor misura l’amor divino. Tuttavia, spiega Giustiniano, lui e gli altri beati sono lieti della loro condizione, in quanto i premi sono commisurati al loro merito e la giustizia divina è tale che non possono nutrire alcun pensiero negativo. Voci diverse producono dolci melodie, e così i vari gradi di beatitudine producono una dolcissima armonia nelle sfere celesti.
Giustiniano indica a Dante l’anima di Romeo di Villanova, che splende in questo stesso Cielo e la cui grande opera fu sgradita ai Provenzali, che tuttavia hanno pagato cara la loro ingratitudine nei suoi confronti. Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, ebbe quattro figlie e grazie all’opera dell’umile Romeo tutte furono regine; poi le parole invidiose degli altri cortigiani lo indussero a chiedere conto del suo operato a Romeo, che aveva accresciuto le rendite statali. Egli se n’era andato via, vecchio e povero, e se il mondo sapesse con quanta dignità si ridusse a chieder l’elemosina, lo loderebbe assai più di quanto già non faccia.

Il testo

“Poscia che Costantin 1 l’aquila volse
  • contr’ al corso del ciel 2, ch’ella seguio
  • dietro a l’antico che Lavina tolse,
  • cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
  • ne lo stremo d’Europa si ritenne,
  • vicino a’ monti de’ quai prima uscìo
  • e sotto l’ombra de le sacre penne
  • governò ’l mondo lì 3 di mano in mano,
  • e, sì cangiando, in su la mia pervenne. 
  • Cesare fui e son Iustinïano 4,
  • che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
  • d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano 5
  • (…)
    Ma ciò che ’l segno che parlar mi face

  • fatto avea prima e poi era fatturo
  • per lo regno mortal ch’a lui soggiace, 
  • diventa in apparenza poco e scuro,
  • se in mano al terzo Cesare 34 si mira
  • con occhio chiaro e con affetto puro
  • ché la viva giustizia che mi spira,
  • li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
  • gloria di far vendetta a la sua ira 35
  • Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
  • poscia con Tito a far vendetta corse
  • de la vendetta del peccato antico 36
  • E quando il dente longobardo morse
  • la Santa Chiesa, sotto le sue ali
  • Carlo Magno 37, vincendo, la soccorse. 
  • Omai puoi giudicar di quei cotali 38
  • ch’io accusai di sopra e di lor falli,
  • che son cagion di tutti vostri mali. 
  • L’uno al pubblico segno i gigli gialli
  • oppone, e l’altro appropria quello a parte,
  • sì ch’è forte a veder chi più si falli 39
  • Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
  • sott’ altro segno, ché mal segue quello
  • sempre chi la giustizia e lui diparte; 
  • e non l’abbatta esto Carlo novello
  • coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
  • ch’a più alto leon 40 trasser lo vello 41
  • opo che Costantino portò il simbolo
  • dell’impero da occidente ad oriente, che
  • seguì Enea, colui il quale sposò Lavinia,
  • più di due secoli l’aquila rimase in Oriente,
  • a Bisanzio, vicino a quei monti da cui
  • [con Enea] si era mossa in precedenza;
  • e sotto il comando dei vari imperatori
  • governò il mondo passando da uno all’altro
  • e, così cambiando, giunse fino a me.
  • Fui imperatore nel mondo e sono Giustiniano,
  • che, per voler dello Spirito Santo che provo,
  • dalle leggi romane tolsi ciò che era superfluo.
  • (…)
    Ma tutte le imprese che l’aquila mi fece dire 

  • che aveva fatto e che avrebbe fatto in futuro
  • per il regno mortale che soggiace a Dio,
  • diventano una cosa piccola e sono senza gloria,
  • se si pensa a cosa fece con il terzo Cesare,
  • riflettendo con animo privo di pregiudizi;
  • perchè la vera giustizia che mi ispira, 
  • concedette all’aquila, sotto l’impero di Tiberio,
  • la gloria di soddisfare la giusta ira di Dio. 
  • Ed ora tu ammira quello che ti spiego:
  • dopo l’aquila con Tito corse per vendicare 
  • il peccato antico della crocifissione di Cristo.
  • E quando i Longobardi attaccarono
  • la Chiesa, Carlo Magno le venne in aiuto 
  • proteggendola sotto le sue ali.
  • Ormai puoi giudicare coloro i quali
  • io già accusai prima e i loro sbagli,
  • che sono il motivi di tutti i vostri mali.
  • I guelfi al segno dell’Impero opponevano il giglio
  • giallo, gli altri si appropiano del segno come fosse
  • loro, così che è difficile capire chi più sbaglia.
  • I ghibellini facciano tutto ciò sotto un altro
  • simbolo, poichè non può esserne seguace
  • chi divide la giustizia dell’impero;
  • e non lo potrà abbattere Carlo II d’Angiò
  • con i suoi guelfi, ma abbia timore degli artigli
  • che al più forte leone strapparono il pelo.
  • Note

    1 Costantin: Costantino I (274-337 d.C.) imperatore dal 306 ricordato, oltre che per una consistente riforma dell’amministrazione e dell’esercito, per aver spostato la capitale dell’Impero a Bisanzio (poi detta Costantinopoli) e per l’Editto di Milano (313 d.C.) che sancì la libertà religiosa e favori la diffusione del Cristianesimo.

    2 contr’al corso del ciel: il corso ed il movimento normale del cielo è da est a ovest; in questo caso invece il potere imperiale di sposta da Roma, ovest, a Bisanzio, est.

    3 : in Oriente.

    4 Iustiniano: Giustinano (482-565 d.C.) imperatore romano d’Oriente dal 527; la sua importanza, oltre che per un periodo di prosperità per l’Impero, anche per la compilazione del Corpus Iuris Civilis, diffuso a partire dal 535 e che riordinò l’insieme di legislazioni dell’Impero. Il Corpus di Giustiniano costuisce a tutt’oggi la base del diritto civile.

    5 trassi il troppo e ‘l vano: Giustiniano nel suo Corpus tolse quanto vi era di superato della legislazione romana.

    (…)
    34 terzo Cesare: Tiberio (42 a.C. – 37 d.C.), successore di Ottaviano.
    35 gloria di far vendetta a la sua ira: la giustizia divina, sotto il regno di Tiberio, fece sì che l’Impero diventasse lo strumento che, proprio condannando Gesù Cristo alla crocifissione, permise il riscatto dell’ira divina per il peccato originale di Adamo ed Eva. L’Impero si fa quindi strumento del progresso della storia dell’umanità, che ha il suo punto centrale – per il pensiero medievale – nella Redenzione cristiana.
    36 la vendetta del peccato antico: Dante allude alla distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) ad opera di Tito, considerata la giusta punizione contro il popolo ebraico.
    37 Carlo Magno: Carlo Magno (742-814 d.C.), sovrano del Sacro Romano Impero, che combatté contro i Longobardi in Italia in difesa del Papato su queste vicende, Alessandro Manzoni ambienterà il suo Adelchi).
    38 quei cotali: i guelfi e i ghibellini. Le terzine successive sono di ferma condanna per l’operato di entrambe le fazioni.
    39 I guelfi, avendo come fulcro politico gli Angioini a Napoli, utilizzavano il giglio giallo dei francesi come loro emblema, mentre i ghibellini si erano appropriati del simbolo dell’impero stesso come fosse del loro stesso partito.
    40 leon: l’immagine del leone vuole significare che l’impero riuscì senza alcun problema a fiaccare e sconfiggere signori molto più forti delle fazioni guelfe e dei ghibelline presenti in Italia.
    41 In queste due terzine Giustiniano dice che nè i ghibellini nè i guelfi possono impossessarsi del simbolo dell’Impero in quanto in entrambi i casi la giustizia e la rettitudine morale non sono le finalità del potere e non sono quindi degni di poter conservare questo simbolo.

    Approfondimenti

    IL PARADISO DI DANTE. CANTO XI. SAN FRANCESCO D’ASSISI di Giovanni Frighera.