Sacer

Homo sacer è un’espressione latina che, tradotta letteralmente in italiano significa uomo sacro, cioè uomo spettante al giudizio degli dei.

Indica una sorta di pena religiosa (sacertà) comminata a colui che agiva in modo tale da mettere in pericolo la pax deorum, ossia i rapporti di amicizia tra la collettività e gli dei, i quali garantivano la pace e la prosperità della civitas. Incrinare tale rapporto “sacro” tra società e dei significava porre in pericolo non solo la vita dei singoli coinvolti, ma addirittura la stessa sopravvivenza di Roma.


Esempi di atti che implicavano la sacertà del reo, sono, a esempio, lo spostamento delle pietre che delimitavano i confini dei campi, lo spergiuro, toccare colui che era stato colpito da un fulmine.

processione

Tali atti, se compiuti da un uomo appartenente alla collettività, erano considerati tanto gravi da non poter essere puniti neppure dai cittadini, ma unicamente dagli dei. Infatti, la sacertà non era comminata dai cittadini, ma il reo veniva isolato dal gruppo, abbandonato da chiunque.
Non era previsto un processo per stabilire la colpevolezza del reo: quest’ultima conseguiva quasi in automatico dalla commissione in sé dell’atto. La storiografia, infatti, riporta notizie di spergiuri che venivano colti improvvisamente da pazzia: proprio la pazzia era considerata una sorta di punizione divina per aver commesso lo spergiuro. L'”homo”, divenuto sacer per il solo fatto di aver commesso un atto che comprometteva l’amicizia tra Roma e gli dei protettori, veniva di fatto abbandonato alla punizione divina, come se la collettività non volesse neppure occuparsi della condanna, quasi ciò avesse comportato la contaminazione di tutta Roma.
Qualora venisse ucciso da un cittadino, a questi non poteva essere considerato un omicidio, in quanto la condizione dell’Homo sacer era decisa dalla divinità e la morte, eventuale e non obbligatoria, è una conseguenza dell’ordalia conseguenza a sua volta della “consacrazione” agli dei. Colui a cui veniva inflitta la sacertà, infatti, come sancito dalle cosiddette leges sacratae, era consacrato a Giove e il suo patrimonio era consacrato a divinità plebee. La consacrazione alla divinità, però, non avveniva con le modalità del sacrificio rituale, ma era conseguita in via indiretta, garantendo l’impunità a colui che uccidesse il colpevole di un comportamento contrario alle norme vigenti (scritte e no). La sacertas, sebbene abbia conosciuto con le leges sacratae e l’attribuzione della sacrosanctitas ai tribuni della plebe, il momento di massima diffusione, ha origini estremamente antiche. Istituti a carattere giuridico-religioso dotati di aspetti pressoché identici alla sacertà compaiono già nel primitivo diritto germanico (Friedlosigkeit) e nella Grecia antica (ἀτιμία).

Il termine è usato sulla base del particolare significato che nella lingua latina assume l’aggettivo sacer (vale a dire “maledetto, colpito da un influsso negativo da parte degli dei”). Sacer esto (“sia maledetto”) era la formula penale con cui si consacrava qualcuno agli dei inferi (formula presente nelle leggi delle XII Tavole).

L’esatto valore del lat. sacer può essere precisato in maniera abbastanza agevole. Sacer è ciò che appartiene al dio. Il seguente esempio di Plauto (Trin., 286) chiarisce molto bene i limiti semantici della parola: sacrum profanum, publicum privatum habent. Secondo un procedimento abbastanza usuale, vengono impiegate delle coppie di aggettivi esprimenti l’uno l’esatto contrario dell’altro per esprimere la totalità, così che il contesto viene a significare «non rispettano proprio nulla». È chiaro che, per poter meglio confermare quest’idea, le due coppie di aggettivi devono avere qualche rapporto semantico fra di loro: entrambe devono indicare il tutto, ma da due punti di prospettiva differenti e nello stesso tempo legati da qualche relazione. Sacrum indica la sfera di ciò che ha riferimento col dio, publicum indica la sfera dei rapporti fra gli uomini nell’ambito della collettività e della sua organizzazione: i due piani si integrano fra di loro, e il piano dei rapporti fra gli uomini può essere considerato solamente alla luce del piano dei rapporti fra uomo e dio. Che l’impiego dei quattro aggettivi non sia casuale, ma abbia un senso preciso e venga a costituire quasi una formula, è provato dal ricorrere delle medesime parole in un passo di Nepote (Them., 6): l’urgenza di ricostruire le fortificazioni di Atene distrutte durante le guerre persiane impone di non risparmiare alcun edificio; Temistocle chiede agli Ateniesi, di qualunque condizione sociale (servi atque liberi), di utilizzare tutto il materiale reperibile, neque ulli loco parcerent, sive sacer sive profanus, sive privatus esset sive publicus.

Abbiamo pertanto il seguente schema:

sacer (appartenente al dio) ~   profanus (non appartenente al dio)
publicus (appartenente allo Stato) ~    privatus (non appartenente allo Stato).

Nelle due relazioni, publicus si rivela termine intermedio anche nel seguente esempio plautino (Trin., 1044): mores autem rapere properant qua sacrum qua publicum «la morale corrente è quella di impadronirsi di tutto ciò che non appartiene al singolo, sia perché proprietà del dio sia perché proprietà dello Stato». Ancora, la contrapposizione fra sacer, publicus e privatus, con publicus termine intermedio fra i due, è presupposta nelle espressioni sacra pecunia ‘denaro di proprietà del dio’ e privata pecunia ‘denaro appartenente al privato’ (Quint. IV 2, 8), alle quali si può accostare l’uso di pecunia publica ‘cassa comune della collettività (in questo caso l’esercito)’ in Cesare (BG VII 55, 2) .

Ulteriori considerazioni sono possibili alla luce dell’etimologia indeuropea. Sacer risale a una radice sak-, che ha numerosi riscontri nelle lingue italiche: osco sakoro ‘sacra’ (nom. sing. femm.), sacrid abl., sakrím ‘hostiam’, sakarater‘sacratur’, anche sakaraklum ‘sacellum’, sakra ‘sacras’, sacre ‘sacrum’, ecc. In latino da questa radice abbiamo una formazione in -ro-, sakros (attestato in questa forma nel cippo del Foro), e una formazione in -ri- con allungamento della sillaba radicale sopravvissuta solamente nell’espressione porci sacres. Tra i composti e i derivati basterà richiamare sacerdos (con la radice dhē- di tíqhmi, quindi propriamente ‘colui che compie le azioni sacre’), sacrificium ‘rito sacro’,sacellum (da sakro-lo-), sacrarium, sacramentum, ecc.: come si vede, ognuna di queste parole sviluppa solamente alcuni dei significati che sono compresenti in sacer (6). I verbi derivati sacrare (che tende a sostituire il più antico pollucēre, di etimo ignoto), cōnsecrāre, resecrāre, obsecrāre, sono da considerare formazioni relativamente recenti; però obsecrō è testimoniato in testi antichi anche nella forma con tmesi ob vos sacro.

Al di fuori dell’Italia i riscontri di questa radice sono piuttosto scarsi. L’unica connessione sicura è quella con l’ittitasaklai- ‘uso, rito, legge’. Più difficoltoso invece l’accostamento con l’ant. nord. sattr < *sahta-, che dev’essere ricollegato con la rad. germanica *sak- (da ie. *sag-), sulla quale sono formati got. sakan, ags. sacan, aut. alto ted.sahhan, ant. nord. saka ‘accusare, contestare’, ant. nord. so°k ‘dibattito giudiziario’, ags. sacu e ant. alto ted. sahha ‘Sache’, ecc. Queste parole fanno parte del lessico giuridico, non del lessico religioso o istituzionale.

L’analisi dei termini è stata condotta dal Benveniste in maniera sicura e convincente: benché le parole non risalgano tutte alle medesime radici, in quanto la realtà del sacro doveva presentare contorni ancora nebulosi e scarsamente istituzionalizzati nella società indeuropea, le conclusioni a cui si può approdare non sembrano discutibili. Per esaminare qualcuna soltanto delle lingue indeuropee, escludendo il gruppo baltico e slavo, a noi noto da un periodo successivo alla conversione cristiana, che modificò in maniera radicalmente nuova il lessico del sacro, abbiamo il seguente quadro:

Sacro in senso positivo Sacro per separazione
avestico spənta- yaož-dāta-
greco ëerój –gioj
gotico hails weihs

Nel primo termine è sempre connessa un’idea di forza o di esuberanza, segno della presenza divina di cui la realtà sacra è carica.

domizio

Altorilievo con scena del sacrificio dei Souvetaurilia

I Suovetaurilia, nell’antica Roma, era il sacrificio dei tre animali domestici tipici: il maiale (sus), la pecora (ovis), il toro (taurus) offerti, sia dallo Stato sia da privati, a scopo purificatorio. Antichissima forma di sacrificio dei popoli indeuropei, i suovetaurilia avevano a Roma un’importanza basilare nelle cerimonie lustrali: in quella, per es., che i censori indicevano ogni 5 anni in Campo Marzio, presso l’ara di Marte, per la solenne purificazione dei cittadini.

La Lustrazione è un rito che serve ad abolire lo stato di impurità di persone od oggetti. Si richiede prima dell’impiego sacrale di questi, ma anche prima di imprese importanti (caccia, guerra, mietitura ecc.) e in occasione del passaggio da una condizione a un’altra (battesimo, iniziazione) o dopo una qualsiasi contaminazione (contatto con un morto, mestruazione ecc.); in alcune religioni si hanno lustrazioni periodiche.

Livio e i sacra

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Bibliografia:

Sul termine sacer

https://it.wikipedia.org/wiki/Homo_sacer

https://it.wikipedia.org/wiki/Sacertà

http://www.rivistazetesis.it/Sacer.htm

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