Uno spazio del tutto particolare, perché assolutamente nuovo rispetto alla topografia di età classica è l’abbazia. Strettamente legata, infatti, da un lato alla spiritualità cattolica medievale, dall’altro al peculiare regime economico dell’Alto Medioevo, l’abbazia a doppio filo ha legato le sorti della sua esistenza al Medioevo.
L’abbazia (detta anche abazia o badia a seconda se diretta da un abate o da una badessa), è un particolare tipo di monastero, che per il diritto canonico è un ente autonomo.
Il nome deriva dal tardo latino abbatīa, appunto abate, termine che inizialmente si riferiva solo alla persona che reggeva l’edificio, per poi assumere il significato più esteso del complesso dei beni che erano a disposizione di tale carica religiosa. Infatti molto spesso per abbazia in toponomastica si intende non soltanto l’edificio in sé, quanto anche l’insediamento che si sviluppava intorno a esso.
Il complesso abbaziale è dunque formato dagli edifici e dai territori circostanti che rientrano sotto il suo controllo. La principale diversità rispetto ai normali monasteri risiede nell’autonomia: l’abbazia può essere considerata come una comunità religiosa (ogni comunità deve essere composta da almeno dodici religiosi), retta da un abate (a volte supportato dal capitolo).
La prima abbazia di cui si ha notizia fu fondata intorno al 320, che prese il nome di abadia, dal santo egizio Pacomio, che ne fece il luogo dove riunire la prima comunità monastica cenobita, elaborandone tra l’altro le regole interne. Pacomio portò avanti tale progetto in quanto convinto del fatto che l’ideale ascetico cristiano si sarebbe realizzato in modo migliore attraverso una comunità piuttosto che all’interno dell’esperienza eremitica.
Alla costruzione di questa prima abbazia ne seguirono altre, sia in Oriente sia in Occidente, dove però furono elaborate nuove regole interne, ispirandosi sia alla Regola benedettina, a partire dal 534 che alla Regola colombaniana di ispirazione monastica celtico-irlandese.
Lo spazio dell’abbazia assume un ruolo economicamente forte soprattutto nell’Alto Medioevo, costituendo un forte polo di attrazione sia per la sua natura di luogo di meditazione e di ricerca della spiritualità, sia come polo economico, tanto che moltissimi centri urbani, piccoli e grandi, nati nel Medioevo si sono costituiti a partire da abbazie e monasteri, la cui ricchezza in fatto di terre da coltivare, che ben presto sarà superiore alle capacità dei monaci ospitati dall’abbazia stessa, richiamerà contadini dai dintorni che si installeranno nei pressi dell’abbazia stessa, quando non nei suo immediato intorno, con strutture residenziali stabili, per potere coltivare la terra ed essere più “protetti” dalle incursioni e dai pericoli propri della vita nell’Alto Medioevo.
Le incursioni di saraceni e degli ungari misero a rischio la sopravvivenza anche delle abbazie, con la distruzione e l’instabilità che il continuo pericolo comportò a lungo, per tutto il X secolo.
Molte delle abbazie più ricche che ressero il colpo infertole dalle incursioni saracene e ungare decisero di fortificarsi come castelli, aumentando così il loro potere territoriale e la loro autonomia.
L’incastellamento delle abbazie portò però a una progressiva crescita dell’influenza di vescovi e signori su di esse, creando molti malumori tra i religiosi di tutta Europa: conseguenza di ciò fu l’istituzione della Congregazione di Cluny (2 settembre 909). La regola cluniacense, ispirata a Benedetto da Aniane, mirava a sottrarre monasteri e abbazie al controllo vescovile e del potere civile: per fare ciò fu formato intorno all’abbazia di Cluny un vero e proprio “impero” di priorati, autonomi, ma sottomessi al potere centrale.
L’ordine cluniacense godette di un lungo periodo di splendore, ma verso la fine dell’XI secolo e all’inizio del XII, nuovi ordini ispirati a un ideale di povertà e austerità come l’ordine cistercense e quello certosino, misero in crisi l’influenza spirituale di Cluny, accusato di potere temporale e arricchimento al di là del consentito.
In particolare è l’ordine cistercense, con la sua affermazione, a fare crollare in pochi decenni la struttura con a capo l’abbazia di Cluny, facendo sue le istanze di autonomia dei monasteri, che avevano perso la loro effettiva indipendenza nel momento in cui accettavano il principio gerarchico di Cluny.
I cistercensi, fondati da San Roberto, attuarono la loro istanza riformatrice degli ordini monastici rifacendosi all’attuazione stretta della Regola di San Benedetto, contrapponendo al lusso dei cluniacensi la semplicità e il lavoro manuale.
L’affermazione dei cistercensi portò anche un contributo all’espansione agricola europea durante i secoli centrali del Medioevo. Infatti monasteri e abbazie venivano ora fondati in luoghi solitari e incolti che, grazie al lavoro di monaci e conversi laici, venivano bonificati e disboscati, creando nuovi terreni da coltivare che venivano amministrati tramite le grange.
L’abbazia nell’immaginario moderno
Trama
Ambientazione
Gli eventi che si raccontano avvengono in una non meglio precisata ricca abbazia benedettina dell’Italia settentrionale, «in una terra […] i cui signori erano fedeli all’impero e dove gli abati del nostro ordine di comune accordo si opponevano al papa eretico e corrotto.» Dalle informazioni che ci fornisce Adso quando va a cercare i tartufi con Severino («Il mattino del nostro arrivo, quando già eravamo tra i monti, a certi tornanti, era ancora possibile scorgere, a non più di dieci miglia e forse meno, il mare») ne traiamo che l’abbazia deve trovarsi da qualche parte della Liguria, poiché solo in questa regione settentrionale c’è il mare a breve distanza dalle montagne (mentre in Veneto ed Emilia Romagna c’è la pianura). È anche lo stesso Eco che, nell’introduzione, dice che «le congetture permettono di disegnare una zona imprecisa tra Pomposa e Conques, con ragionevoli probabilità che il luogo sorgesse lungo il dorsale appenninico, tra Piemonte, Liguria e Francia». L’abbazia, circondata da una cinta di mura, è situata su un pianoro sulla sommità di un monte; è composta da vari edifici, il più importante dei quali per la vita dell’abbazia è l’Edificio, dove al primo piano ci sono le cucine e il refettorio, al secondo piano c’è lo scriptorium e al terzo c’è la biblioteca, a cui poteva accedere solo il bibliotecario e il suo aiutante (questo solo in teoria). Inoltre c’erano l’orto e il giardino botanico, i balnea, l’ospedale, la chiesa, il chiostro, la casa dell’abate, il dormitorio e la casa dei pellegrini; sul lato orientale trovavano posto quartieri colonici, stalle, mulini, frantoi, granai e cantine. L’intero complesso era orientato secondo precisi dettami architettonici. Nella narrazione prevalgono i luoghi chiusi e un ruolo particolare è svolto dalla biblioteca, posto su cui è puntata la maggiore attenzione per tutta la durata della vicenda.
Nel romanzo coesistono parti narrative che si alternano a lunghe digressioni di carattere filosofico, teologico e storico. Sono frequenti le descrizioni di scene ma anche di personaggi, molto lunghe, come quella del sogno fatto da Adso. Sono presenti in egual misura il discorso diretto e quello indiretto, ma, mentre alcuni capitoli sono quasi esclusivamente raccontati (per esempio quello in cui Adso fa delle riflessioni sulla storia del suo ordine e sul destino dei libri o dove si riassumono i principali eventi del secolo), in altri ci sono solo dialoghi.
Eco ha usato la tecnica dell’intertestualità, che consiste nella ripresa, spinta fino alla citazione più o meno letterale, di espressioni o brani ricavati da altri testi, di varia origine e provenienza, come l’Apocalisse, i Vangeli, il Cantico dei Cantici e diversi altri filosofi antichi e medievali.
“In the first few pages, Adso already describes his initial impressions of the abbey. It is not the monastery‘s compound that leaves him astonished, but rather the massive construction of the Aedificium, wherein the library is located:“I was amazed, not by the walls that girded it on every side, similar to others to be seen in all the Christian world, but by the bulk of what I later learned was the Aedificium. This was an octagonal construction that from a distance seemed a tetragon (a perfect form, which expresses the sturdiness and impregnability of the City of God) […].“ (4)
Adso‘s feelings are reinforced by the subsequent conversation with the monastery‘s abbot. The reader and the two protagonists learn that the library is a spiritual and mundane labyrinth at the same time. The abbot is spelling out the prohibition of entering the library. Only a selected few, like the librarian and his assistant, are allowed to enter the world of books. “The library defends itself […],“ (5) expresses the abbot, thereby provoking Adso and William‘s curiosity and suspiciousness.