Il funerale nell’antica Roma

I funerali, beninteso quelli dei patrones, erano, a quanto dicono le fonti, complessi e solenni, oltre che molto sfarzosi e quindi costsissimi. Molti cittadini, infatti, per assicurarsi una sepoltura degna del loro rango, si iscrivevano ai collegia funeraria (sorta di corporazioni) destinate a gestire il funus, mentre una categoria poco amata ma molto ricca di cittadini era quella dei libitinarii, ovvero gli impresari di pompe funebri. esisteva anche una versione meno “costosa” dei libitinarii, il vespillione.

Dopo la morte, il rituale prevedeva innanzitutto un tentativo rituale di risvegliare il morto: i suoi familiari, infatti, di solito le donne di famiglia ma, all’occorrenza, anche liberti e schiavi, lo chiamavano più volte gridando ad alta voce il suo nome (era la cosiddetta conclamatio). Constatata la morte definitiva in questo modo molto teatrale, era il momento di chiamare i pollinctores, i quali procedevano alla preparazione del cadavere, a lavare il corpo del defunto e cospargerlo di unguenti. Gli stessi, poi, lo vestivano con gli abiti da parata, deponendolo su un catafalco (il cosiddetto lectus funebris) nell’atrio della casa, i piedi verso la porta. Questa usanza si è conservata a lungo, anche nella cultura tradizionale delle aree contadine dell’Italia moderna, interpretata per lo più come un “invito” ad allontanarsi dalla famiglia dei vivi. I pollinctores, poi, ponevano sotto la lingua una monetina; secondo la versione più diffusa, questa moneta (o queste monete) era(no) il dazio per che il morto pagava per essere traghettato da Caronte dal regno dei vivi a quello dei morti. Se il defunto era un patrizio ed era stato in vita un magistrato, veniva anche fatto un calco del viso con la cera (non a caso chiamato imago, inis) che veniva esposto sia prima che durante il funerale. In seguito, verrà riposto nell’atrio della domus, insieme ai ritratti degli antenati.

Dopo otto giorni di esposizione del feretro in casa, all’interno dell’atrium, di solito, iniziavano le exsequiae, proclamate da un banditore. Si procedeva così al funerale vero e proprio, che era un avvenimento per tutta la cittadinanza, tanto è vero che alcuni ricercatori hanno messo in correlazione la pompa del funus, cioè la processione funebre, con il triumphum, il percorso trionfale che il condottiero vincitore seguiva in un percorso mai definito con precisione all’interno dell’Urbe. Un cerimoniere (dissignator) precedeva il corteo, cui seguiva una torma di musici e le praeficae che cantavano inni per il morto (neniae, arum); vi erano anche mimi, littori, portatori di torce. Due sono gli elementi più interessanti e bizarri del funus romano: la processione degli antenati e il mimo del morto.

La processione funebre

Il funerale di un patrizio, a meno che non fosse un homo novus, cioè il primo della sua gens a raggiungere le magistrature, era infatti caratterizzato da una singolare processione: il feretro era seguito da attori che indossavano le maschere degli antenati (imagines maiorum, anch’esse realizzate per il loro funerale e custodite, come si diceva, nell’Atrium della domus patrizia) e sfilavano con la famiglia dei vivi. La pompa, infatti, era un’occasione per riaffermare l’autorità e il potere della famiglia del morto nella comunità attraverso la rappresentazione dei suoi antenati e dell’honos della gens che questi rappresentavano. Infatti, gli attori erano vestiti con l’abito proprio della magistratura raggiunta dall’antenato, così che tutti potessero vedere la gloria della gens e del morto, che così, in uno schema teatrale, veniva accolto nella “meta-famiglia” dai suoi antenati. Accanto a questa processione, o emglio dietro al feretro, è documentato, anche e soprattutto epr gli imperatori, la presenza di un mimo/attore che riproduceva gesti e atteggiamenti del morto. Dalle fonti, in effetti, sembra anzi che questi personaggi facessero parte della familia e seguissero il pater familias in modo da acquisirne le caratteristiche movenze.

Per motivi igienici e sacrali (“hominem mortuum in urbe ne sepelito neve unto”, “che nessun morto sia seppellito o bruciato in territorio cittadino”, recita una delle leggi delle XII tavole), il corpo era portato fuori dal pomerium, lo spazio consacrato dell’Urbs, e qui veniva svolta la fase finale del rito: il rituale più solenne e ricco, usato per i patrizi, era l’incinerazione, mentre l’inumazione era riservata a poveri e schiavi. per questi ultimi, ma non solo, le sepolture erano segnalate da piccoli tumuli di pietre o terra, dalle pietre di delimitazione o da vasellame posto al di sopra della fossa; nella storia di Roma antica erano molto rare le stele funerarie. Per quanto riguarda la cremazione, il defunto veniva bruciato in un’area apposita, detta ustrinum; i resti, una volta raccolti, venivano poi riposti in un contenitore e quindi sepolti.

termine latinocorrispondente italiano
vespillio, onis
pollinctores
libitinarii
cadaver, eris
cippus,
Fortuna, ae
laudatio, onis, laudàtio funebris
elógium, ii
féretrum, i
funus, eris
funus acerbum
funus plebeium, tacitum
funus privatum
funus publicum
in cinerem redigere
inumatio, onis
pompa
becchino
assistenti del becchino
impresari funebri
cadavere
cippo
destino
discorso funebre
elogio
feretro
funerale
funerale dei bambini
funerale dei poveri
funerale privato
funerale di Stato
incenerire
inumazione
corteo funebre
I termini del funus