Dai Severi a Costantino

Settimio Severo con sua moglie e i suoi figli ancor bambini

Settimio Severo con sua moglie e i suoi figli ancor bambini su un Tondo a lui contemporaneo, Berlino, Antikensammlung Berlin (collezione di antichità classiche). Il viso di Geta è stato eraso dopo il suo assassinio.


La dinastia dei Severi che regnò sull’Impero romano tra la fine del II e i primi decenni del III secolo, dal 193 al 235, con una breve interruzione durante il regno di Macrino tra il 217 e il 218, ebbe in Settimio Severo il suo capostipite.

A partire da Settimio Severo (193-211), l’imperatore, a differenza di quanto era accaduto durante il Principato, utilizzò l’appellativo di dominus, che rimandava alla parola Deus, dio, divinità. Tale titolo intendeva rappresentare un governo di natura dispotica nella quale l’imperatore, non più contrastato dai residui delle antiche istituzioni della Res Publica romana, poteva disporre da padrone dell’Impero. Il futuro imperatore apparteneva a un’importante famiglia di Leptis Magna della provincia d’Africa alleata con un’importante famiglia sira grazie al suo matrimonio con Giulia Domna.
Le origini provinciali influenzarono molto il suo modo di impostare il nuovo Stato romano a partire dalla riorganizzazione dell’esercito (con la creazione di tre nuove legioni quali la legio I, II e III Parthica; l’aumento della paga del legionario; la riforma del cursus honorum nelle alte gerarchie militari a vantaggio degli Equites), alla guardia pretoriana ora formata con componenti provinciali (in particolare dall’Illirico), fino a concedere sempre ai provinciali il permesso di sposarsi durante il servizio militare, abitando con la propria famiglia fuori dal castrum legionario. Non è infatti un caso che l’appoggio militare che l’imperatore ottenne dagli eserciti provinciali, ne abbiano accresciuto notevolmente il potere. Fu, inoltre, un abile condottiero, in grado di portare alla vittoria le truppe imperiali nella guerra contro i Parti tra il 195 ed il 198 e di condurre una fortunata serie di campagne militari nel nord della Britannia (odierna Scozia) contro le truppe barbare dei Caledoni (208-211) poco prima di morire.
Alla sua morte, il trono imperiale venne diviso fra i figli Lucio Severo Bassiano (poi Marco Aurelio Severo Antonino) detto Caracalla e Lucio Severo Geta. Infatti il primo regnò dalla morte del padre, avvenuta nel 211 ad Eburacum lungo il fronte settentrionale della Britannia, fino al 217 e condivise con il fratello il regno, fino al 211, quando commise un fratricidio eliminando Geta e cancellandolo attraverso la damnatio memoriae. Avendo accresciuto il suo potere in una forma di dispotismo assoluto, creò le premesse per il suo assassinio (217), a cui prese parte, quasi certamente, il prefetto del pretorio, Macrino, che non apparteneva all’ordine senatorio e che a lui successe per poco tempo (217-218), pur non appartenendo alla dinastia dei Severi. Il suo governo gli guadagnò tra i contemporanei una fama di eccentricità, decadenza e fanatismo.
La corte imperiale era però dominata da donne formidabili, le quali riuscirono ad eliminare il nuovo imperatore, Macrino, ed a imporre un “nipote acquisito” di Settimio Severo, tramite sua moglie, Giulia Domna, che si faceva chiamare Eliogabalo o Elagabalo (ovvero Sestio Vario Avito Bassiano, poi Marco Aurelio Antonino).
Egli voleva sovvertire le tradizioni religiose romane, sostituendo a Giove, signore del pantheon romano, la nuova divinità solare del Sol Invictus, che aveva gli stessi attributi del dio solare di Emesa. A causa dell’opposizione che sorse contro di lui, Eliogabalo venne assassinato dalla guardia pretoriana e sostituito dal cugino, Alessandro Severo (ovvero Marco Giulio Alessiano Bassiano, poi Marco Aurelio Severo Alessandro). Questi divenne imperatore alla tenera età di 13 anni ed il suo potere fu gestito dalla madre, Giulia Mamea. Il nuovo monarca non riuscì a beneficiare delle alleanze militari, troppo lontane dalla vita di corte, ma fondamentali, come aveva dimostrato il fondatore della dinastia, per la sua futura sopravvivenza. E benché condusse con discreti risultati alcune campagne in Oriente contro i Sasanidi e lungo il limes germanico-retico contro la confederazione degli Alemanni, si alienò i favori dell’esercito, tanto che, mentre si trovava tra le sue truppe nel quartier generale di Mogontiacum nella Germania superiore, venne ucciso il 18 o 19 marzo del 235 insieme alla madre, in un ammutinamento quasi certamente promosso dal futuro imperatore Massimino il Trace, generale di origine tracia.

Albero genealogico dei Severi

Albero genealogico dei Severi

Con il governo dei Severi, la situazione economica andò peggiorando notevolmente. I “nuovi grandi latifondisti” generarono una maggiore concentrazione industriale nelle mani di pochi, poiché chi aveva grandi latifondi e disponibilità economico-finanziarie installava sui propri terreni anche fucine artigianali, laboratori tessili, fornaci, ecc. portando a un progressivo impoverimento dei piccoli e medi contadini. Lo stesso avvenne ad artigiani e piccoli commercianti, toccati dalle difficoltà economiche e dalla svalutazione monetaria del periodo; tutte queste categorie finirono per confluire nella classe degli humiliores che andava man mano perdendo i propri diritti, mentre le possibilità di mobilità sociale andavano sempre più riducendosi. L’abbassamento dell’intera produzione agricola non solo rese più difficoltoso l’approvvigionamento delle materie prime, ma ridusse la quantità dei prodotti finiti e dei produttori di beni (offerta), aumentandone conseguentemente il costo, causando così un aumento generale dei prezzi (inflazione) ed un abbassamento del valore della moneta (svalutazione).
Il risultato finale fu una contrazione notevole delle attività commerciali ed industriali (recessione), con conseguente aumento della povertà tra le classi meno agiate, oltre a una riduzione complessiva delle entrate fiscali statali. I rimedi adottati dai diversi imperatori furono anche molto differenti fra loro: alcuni aumentarono la base imponibile dando a tutti i provinciali la cittadinanza romana, come fece Caracalla con la Constitutio antoniniana nel 212, o cancellando esenzioni ed elevando la tassa sulle successioni, altri preferirono tagliare le spese generali statali, come provò a fare Alessandro Severo, con la riduzione dei costi dell’esercito, altri ancora tentarono la svalutazione programmata della moneta in corso, tutti rimedi dimostratisi inefficaci.
Una delle caratteristiche principali di questa dinastia fu l’importanza assunta dall’elemento militare, il che risulta evidente se si considera la funzione determinante dell’esercito nel corso della guerra civile. Perq uesto si parla spesso di monarchia “militare” per il governo dei Severi. Del resto Severo e poi i suoi successori decisero, ai fini di migliorare il loro legame con l’esercito a protezione del potere imperiale, di concedere continui aumenti di paga ai legionari, di autorizzarli a contrarre matrimoni anche durante il loro servizio militare e di facilitare il cursum militaris la carriera militare. Per questi motivi le carriere militari diventarono ereditarie.

Testa di Diocleziano, Augusto Giovio (Musei archeologici di Istanbul)

Testa di Diocleziano, Augusto Giovio (Musei archeologici di Istanbul)

La crisi politica conseguente alla fine della dinastia dei Severi fece il resto. L’istabilità politica (gli imperatori fino a Diocleziano durarono di solito pochi anni) e la pressioen delle poplazioni barbariche, con conseguente aumento dei costi militari, fece il resto. Quando Diocleziano (Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, nato Diocle) assurse al trono, la situazione economica era grave, quasi quanto quella politico-istituzionale.
Per consolidare il potere imperiale, Diocleziano mise in atto una serie di riforme politiche e amministrative, tra cui la condivisione dell’impero tra più colleghi. Nel 285, infatti, nominò Massimiano Augusto co-imperatore; il 1º marzo 293, poi, nominò due Cesari, cioè due “vice-imperatori”, Galerio e Costanzo, dando così vita alla «Tetrarchia», il «governo dei quattro»: ciascun Augusto avrebbe governato su metà dell’impero, delegando il governo di metà del proprio territorio al proprio Cesare, il quale gli sarebbe succeduto dopo venti anni di regno. La nuova forma di governo andò a completare un piano di redifinizione della struttura amministrativa dello stato, operato dagli imperatori tetrarchi attraverso l’aumento del numero delle province (con a capo correctores o presides, e suddivise a loro volta in municipia e curiae) e il loro ridimensionamento territoriale, l’inquadramento delle stesse in 4 prefetture (uno per ogni tetrarca), ognuna divisa in 12 diocesi (con a capo i “vicarii”).
Diocleziano operò inoltre una separazione dell’amministrazione civile da quella militare, rafforzandole entrambe, e riorganizzò la suddivisione delle province, fondando nuovi centri amministrativi a Nicomedia, Mediolanum, Antiochia e Treviri, luoghi più vicini alle turbolente frontiere dell’impero dell’antica capitale, Roma. Completò l’evoluzione in senso autocratico dell’istituto imperiale elevandosi al di sopra delle masse attraverso l’introduzione di un cerimoniale di corte molto elaborato e imponenti architetture. Dal punto di vista della politica estera, rafforzò l’impero anche dal punto di vista militare, colpendo i nemici interni ed esterni. Sconfisse i Sarmati e i Carpi in numerose campagne tra il 285 e il 299, gli Alemanni nel 288, e schiacciò una ribellione in Egitto nel 297 e 298. Il nuovo sistema difensivo dei confini venne reso più elastico e “profondo”: alla rigida difesa del vallum venne aggiunta una rete sempre più fitta di castella interni, collegati tra di loro da un più complesso sistema viario (un esempio su tutti: la strata Diocletiana in Oriente). In sostanza si passò da un sistema difensivo di tipo “lineare” ad uno “più profondo” (anche se non nelle proporzioni generate dalla crisi del III secolo, quando Gallieno e gli imperatori illirici erano stati costretti dai continui “sfondamenti” del limes a far ricorso a “riserve” strategiche molto “interne” rispetto alle frontiere imperiali), che vide un notevole ampliamento dello “spessore” del limes, esteso da una fascia interna del territorio imperiale ad una esterna, in Barbaricum, attraverso la costruzione di numerose “teste di ponte” fortificate nei territori limitrofi al confine.
I tetrarchi, una scultura di porfido saccheggiata a Bisanzio nel 1204 (Basilica di San Marco a Venezia)

I tetrarchi, una scultura di porfido saccheggiata a Bisanzio nel 1204 (Basilica di San Marco a Venezia)

La crescita degli apparati amministrativi civile e militare, i progetti di costruzione, il costante stato di guerra causarono l’aumento delle spese dello Stato, cui Diocleziano rispose con una completa riforma della tassazione: a partire dal 297, la tassazione imperiale fu resa più standardizzata, resa più equa e riscossa in genere a tassi più elevati. Tuttavia, l’Editto sui prezzi massimi (301), un tentativo di controllare l’inflazione tramite l’introduzione di prezzi calmierati, fu controproduttivo, poiché finì per favorire il mercato nero e aprire la strada a speculazioni varie. La persecuzione dioclezianea (303-311), fu l’ultima, oltre che la più vasta e sanguinosa persecuzione ufficiale dei cristiani nell’impero. Non solo essa non riuscì a distruggere le comunità cristiane, ma dimostrò l’importanza del Cristianesimo e il suo radicamento all’interno di tutte le classi sociali (si stima che all’inizio del regno di Diocleziano circa il 10% della popolazione dell’impero fosse cristiana), tanto che, dopo il 324 divenne la principale religione imperiale sotto Costantino. Diocleziano abdicò il 1º maggio 305, primo e unico imperatore a fare questa scelta volontariamente. Si ritirò nel proprio palazzo a Spalato, sulla costa dàlmata, fino alla morte, avvenuta nel 311, rifiutando gli inviti a riprendere il potere nel caos politico che corrispose al collasso della Tetrarchia. Essa, infatti, che pure sembrava un sistema di governo molto efficiente, collassò subito dopo l’abdicazione di Diocleziano a causa delle mire dinastiche di Massenzio e Costantino, figli rispettivamente di Massimiano e Costanzo. Ne sortì un ulteiore periodo di guerre civili da cui emerse, infine, l’imperatore Costantino I.
Flavio Valerio Aurelio Costantino, conosciuto anche come Costantino il Grande e Costantino I (306-337), salito al trono come Cesare nel 306, rimase unico imperatore al termine delle guerre civili nel 324.
L’imperatore, compreso il ruolo fondamnetale della religione cristiana e, in generale, delle religioni nel mantenimento della coerenza dell’Impero, emanò con Licinio nel 313 un editto (detto impropriamente di Milano dal luogo in cui venne concordato) che estendeva a tutte el religioni 8e quindi, sostanzialmente, all’unica non riconosciuta, il Cristianesimo) libertà di culto.
Sempre nel 326 erano iniziati i lavori per la costruzione della nuova capitale Nova Roma (Nuova Roma) sul sito dell’antica città di Bisanzio, fornendola di un senato e di uffici pubblici simili a quelli di Roma. Il luogo venne scelto come capitale nel 324 per vari ragioni: innazitutto per le sue qualità difensive e per la vicinanza ai minacciati confini orientali e danubiani, ma anche, particolare non secondario, perché consentiva a Costantino di sottrarsi all’influenza invadente, arrogante ed irritante degli aristocratici presenti nel Senato romano. l’Impero venne ridisegnato e suddiviso di nuovo in quattro prefetture, tutte però facenti capo ad un unico imperatore. All’interno dei queste prefetture mantenne rigidamente separati il potere civile e politico, da quello militare: la giurisdizione civile e giudiziaria era affidata ad un prefetto del pretorio (la cui carica era di breve durata), cui erano subordinati i vicari delle diocesi ed i governatori delle province. L’apparato burocratico statale venne notevolmente snellito: le attività amministrative vennero suddivise in affari della corte, affidati a quattro alti dignitari, e affari dello Stato, affidati a tre alti funzionari.
Costantino nei suoi oltre trent’anni di regno aveva aspirato a riconquistare, non solo tutti i territori appartenuti all’Impero di Traiano, ma soprattutto a diventare il protettore di tutti i Cristiani anche oltre le frontiere imperiali. Egli, infatti, costrinse molte delle popolazioni barbariche sottomesse a nord del Danubio, dopo averle battute più e più volte, a sottoscrivere clausole religiose (come avvenne con i Sarmati e i Goti).
Nel 309-310 Costantino introdusse una riforma monetaria, necessaria anche per fare fronte alla scarsità di monete d’oro. Venne, quindi, introdotto il solidus d’oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, cioè più leggero (anche se più largo e sottile) dell’aureo, che in quel momento valeva 1/60 di libbra. Si ritornò inoltre al sistema bimetallico di Augusto.
Il comportamento costantiniano in tema di religione ha dato spazio a molte controversie fra gli storici. La stessa tradeizione che lo vuole cristiano è stat recentemente messa in crisi dagli storici, convinti più che mai del suo paganesimo e della natura decisamente leggendaria della sua conversione così come dei molti esempi di devozione legati alla sua figura e a quella della madre, responsabile, tra l’altro, del ritrovamento della vera croce. L’attenzione alla religione cristiana sarebbe stata, dunque, per Costantino un puro e semplice instrumentum regni. Il ruolo determinante giocato da Costantino nell’ambito della chiesa cristiana (ad esempio tramite la convocazione di concili, come e il presiederne e guidarne i lavori) non deve oscurare il fatto che Costantino svolse funzioni analoghe nell’ambito di altri culti. Egli infatti mantenne la carica di pontefice massimo della religione pagana; carica che era stata di tutti gli imperatori romani a partire da Augusto. Lo stesso fecero i suoi successori cristiani fino al 375. Non è dunque da scartare l’idea che quella costantiniana sia una forma politica di sincretisto religioso, come già aveva tentato di fare l’imperatore Aureliano (275), con l’istituzione del culto ufficiale del Sol Invictus (“Sole Invitto”), cui Costantino sembra fosse devoto, attravetso la fusione di elementi del mitraismo e di altri culti solari di origine orientale (Cristianesimo compreso?).
La politica di Costantino mirava a creare una base salda per il potere imperiale nella stessa religione cristiana, di cui era dunque importantissima l’unità: per questo motivo, pur non essendo battezzato, indisse diversi concili, come “vescovo di quanti sono fuori della chiesa”.
Il primo fu quello convocato ad Arelate (Concilio di Arles), in Francia nel 314, che confermò una sentenza emessa da una commissione di vescovi a Roma, che aveva condannato l’eresia donatista, intransigente nei confronti di tutti i cristiani che si erano piegati alla persecuzione dioclezianea: in particolare si trattava del rifiuto di riconoscere come vescovo di Cartagine Cipriano, il quale era stato consacrato da un vescovo che aveva consegnato i libri sacri.
Ancora nel 325, come si accennava più sopra, convocò a Nicea il primo concilio ecumenico, che lui stesso inaugurò, per risolvere la questione dell’eresia ariana: Ario, un prete alessandrino sosteneva che il Figlio non era della stessa “sostanza” del padre, ma il concilio ne condannò le tesi, proclamando l’omousia, ossia la medesima natura del Padre e del Figlio. Il concilio di Tiro del 335 condannerà tuttavia Atanasio, vescovo di Alessandria, il più accanito oppositore di Ario, soprattutto a causa delle accuse politiche che gli vennero rivolte.
Costantino morì il 22 maggio 337 non molto lontano da Nicomedia (in località Achyrona), mentre preparava una campagna militare contro i Sasanidi. Egli preferì non nominare un unico erede, ma dividere il potere tra i suoi tre figli cesari Costante I, Costantino II e Costanzo II e due nipoti Dalmazio e Annibaliano.

Lascia un commento